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In un cd pubblicato lo scorso anno dalla Tzadik di Zorn, dal titolo Cheol-Kkot-Sae (in inglese Steel Flower bird), la bravissima violoncellista Okkyung Lee ha compiuto una delle più sapide integrazioni sincretiche mai compiute sulla libera improvvisazione, organizzando un impasto melodico e timbrico che guarda al presente e al passato: la fusione privilegia l'incontro delle tecniche estensive e del noise con il canto p'ansori, con calibri come John Butcher (sassofoni), John Edwards (contrabbasso), Ches Smith (percussioni e vibrafono) e Lasse Marhaug (elettronica), che si uniscono a Jae-Hyo Chang (percussioni tradizionali coreane) e alla cantante p'ansori Song-Hee Kwon. Se di estensioni su strumenti e di rumoristica abbiamo molta cognizione, di p'ansoi music siamo un po' tutti a digiuno: si tratta di un'eredità tradizionale dall'origine sciamanica, resistita alle intemperie delle dominazioni, che svolge una narrazione epica o si consuma in un dramma; la performance è quasi sempre costituita dall'esibizione vocale di un cantante e di un percussionista a sostegno, che instaurano un climax composto da una pletora di inflessioni e con punti di confluenza con l'alternanza tensione-rilassamento profusa anche dalla libera improvvisazione. Per il canto è previsto un training piuttosto consistente, che accoglie anche parti parlate e bisogna essere bravi a memorizzare le storie, incarnando le convenzioni e le particolarità del p'ansoi: "...an outcome of this training is that the singer's voice exhibits hard glottal attacks, pharyngeal tension and a sound that is restricted and forceful, as pansori aesthetics "prize perseverance rather than ease"..." (Thomaidis and Park, Theatre and voice, Red Globe Press 2017)*.
In Cheol-kkot-sae Okkyung segue l'evoluzione del canto p'ansoi, piuttosto spinto sul lato del rituale: è una suite di 44 minuti circa in cui la violoncellista lavora su glissandi e strapazzamenti delle corde, un costrutto che coinvolge le estensioni terribili ma affascinanti di Butcher ed Edwards e l'elettronica super saturata di Marhaug, incrostata di una voce lugubra; gli incroci presentano il conto di ulteriori affinità, poiché il transito sciamano è un rito ovunque diffuso nel mondo, ma qui non fa paura perché l'incrocio dà più al sogno che alla ricerca di uno spirito. Ad un certo punto il clima si stempera, le percussioni viaggiano libere e spoglie, e un vibrafono accompagna un pezzo di improvvisazione dalle caratteristiche rozze. Una coda finale mixa il violoncello strampalato della Lee con un pianoforte che viaggia ai confini della tonalità.
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Il cd accoglie l'esibizione dei sette musicisti al Donaueschingen Musiktage del 2016, posto in cui la violoncellista coreana fu invitata come rappresentante dei mondi musicali a ridosso della musica contemporanea (tipicamente jazz ed improvvisazione libera); si tratta di un momento di gran importanza, soprattutto alla luce di quell'identità di artista cercata nel fraseggio delle note interne, per una musicista che dimostra di avere le idee sempre molto sbilanciate in avanti.
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Nota:
*se qualcuno vuol farsi un'idea della tipologia di canto in questione, può senz'altro prendere in esame Seopyeonje, un film del 1993 del regista sud coreano Im-Kwon-taek, in questa sequenza del film (qui).